Simona Vinci - La prima verità

Simona Vinci e “La prima verità” – di Chiara Persia

IO LEGGO 2.0 – Tutto inizia con una foto scattata nel 1960 nei padiglioni dell’ospedale psichiatrico di Grugliasco, la foto di una bambina che Simona Vinci, l’autrice de La prima verità, dichiara di portare con sé da sempre, in ogni luogo da lei abitato o vissuto.

Tutto inizia da un’inchiesta della stampa britannica, nei primi anni ’90, sugli orrori del manicomio dell’isola di Leros, in Grecia.

E poi trascorrono otto anni per arrivare alla pubblicazione, perché la storia colpisca l’animo dei lettori, perché il libro vinca il Premio Campiello agli inizi del mese di settembre.

La prima verità è un racconto della realtà condivisa e di quella intima e privata, è la storia di uomini e donne e bambini diventati fantasmi, è il tentativo di svelare quanto di più taciuto ci sia: il territorio dove si incontrano la normalità e il suo contrario, la linea di confine che divide queste definizioni che significano e segnano il percorso di ogni essere vivente.

Tanti sono i personaggi che si incontrano lungo le pagine, tante le storie, tanti gli stili adoperati dalla Vinci, tante e molteplici le chiavi di lettura.

E va bene così: ognuno può trovarci la propria eco.

Il rivoluzionario ci vedrà la storia di tutti quelli che lo hanno preceduto; chi è diverso, nel corpo o nella mente, si ritroverà nei protagonisti del romanzo; chi ha combattuto battaglie per abbattere muri, accoglierà come compagni di strada i tanti di cui il libro tenta di fare memoria.

Non è forse la letteratura il tentativo di spostare il piano del particolare sino a raggiungere l’universale?

Simona Vinci questo tentativo lo ha brillantemente superato: è riuscita a restituire ad una storia, che è cronaca ma anche diario intimo, il respiro ampio dell’eternità del tempo. Le sue parole parlano da sempre e per sempre, parlano di ieri e di domani, parlano di lei e di ognuno di noi.

In tempi in cui si riaffacciano alla ribalta della storia i pericolosi segnali che preannunciano l’intento di delimitare il dentro e il fuori, il sano e il malato, il vicino e il lontano, l’uguale e il diverso, la storia de La prima verità grida sommessamente a tutti che questo tentativo è destinato al fallimento, perché non esistono confini all’interno dell’uomo: in ciascuno albergano sanità e malattia, saggezza e follia, accondiscendenza e ribellione, accettazione e rabbia, egoismo e generosità.

E che tutta la vicenda, nella prima parte del libro, si svolga su di un’isola dà l’immagine di cosa significhi, sulla pelle di chi lo ha provato, il senso di isolamento e solitudine, lo straniamento dal mondo, il diventare lentamente ed inesorabilmente stranieri addirittura a se stessi.

Questa storia non ha la dolcezza di una nenia, eppure è piena di bambini; non ha la durezza di una denuncia, eppure interroga le coscienze; non ha la linearità di un unico stile, eppure si sente in ogni riga il mestiere di scrivere.

Simona Vinci è tornata al romanzo dopo alcune prove che l’avevano allontanata da questo particolare ambito letterario: chi la legge non può che darle il bentornata, salutare una scrittrice che non fa sconti a se stessa ed ha quindi il pieno diritto di non cedere, nelle tematiche e nella costruzione del plot narrativo, ad un mestierare che ha sempre più il sapore del commercio.

Leggere La prima verità è un viaggio difficile, a volte doloroso, ma conviene compierlo perché all’arrivo ci si scopre diversi e più veri, e ci si sorprende anche a sorridere.

Ha ragione Neruda quando scrive che “ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che, con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti”: la Vinci può essere questo qualcuno per ognuno dei suoi lettori.

Chiara Persia

Simona Vinci, La prima verità – Einaudi Stile Libero – Premio Campiello 2016 ]

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