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Otto punti per rilanciare l’architettura in Italia – di Gaetano Manganello

Premessa – L’ Italia ha espresso nel passato una bellezza diffusa sul territorio, dovuta a una pratica dell’architettura dove l’unione tra committenza illuminata, talentuosi architetti e bravissimi artigiani costruttori, ha realizzato innumerevoli sistemi urbani e paesaggistici di alto valore espressivo. Abbiamo assistito, dal dopoguerra in poi, alla decadenza dell’architettura nel momento in cui si è realizzato un enorme sviluppo quantitativo. Nel sentire collettivo, essa non rappresenta più  un importante componente della civiltà, ma anzi è sempre più scomparsa dalle priorità del nostro sviluppo. Non si sente il bisogno dell’architettura, si riesce tranquillamente a farne a meno, messa da parte, attaccata, vituperata da coloro che avrebbero dovuto invece svilupparla per l’importanza che l’architettura oggettivamente deve avere.

Chi sono costoro?

Salvo le dovute eccezioni, presenti in numero minoritario rispetto al totale degli attori, principalmente  l’architettura come bene comune non è un fine perseguito dalla committenza pubblica, dalle professioni tecniche, dalle imprese, da coloro che hanno la responsabilità del costruire.

I miei otto punti per rilanciare l’architettura in Italia nascono da una constatazione: l’architettura è un bisogno primario, al pari dell’alimentazione e di una buona istruzione.

1- Architettura per tutti

Tutti devono avere accesso all’architettura, essa non è priorità dei committenti illuminati né delle persone ricche. L’architettura crea sviluppo, serve al benessere delle persone, di tutte le persone, indifferentemente dalla loro capacità economica.

Compito dello Stato è quello di creare le condizioni perché l’architettura diventi realmente un bene diffuso e accessibile a tutti. L’architettura andrebbe spiegata e insegnata nelle scuole, fin dall’infanzia, come si impara a leggere e a scrivere, si dovrebbe imparare a leggere l’architettura. In Sicilia, a Favara è in corso un interessante esperimento. Presso il Farm Cultural Park è stata creata SOU, la prima scuola di architettura per bambini (http://www.sou-school.com/).

Il sistema scolastico pubblico dovrebbe sostenere, seguire, sviluppare questo eccezionale esempio di lungimirante visione.

2- Progetto=Architettura

Non si capirà mai abbastanza quanto il progetto sia necessario per la costruzione dell’architettura.  In Italia non si conosce il significato e l’importanza del progetto.  Senza di esso, senza le buone pratiche legate al progetto, senza il talento, la conoscenza, la sensibilità, l’attenzione alle persone e al contesto, non si può costruire l’architettura.

Il progetto va valorizzato e sostenuto. Andrebbero finalmente approvate Leggi che assumano il progetto come punto centrale del fare architettura.

3- Professioni tecniche

Come l’architettura deve essere di tutti e per tutti, tutti non possono progettare e costruire l’architettura.

Assistiamo a una grande confusione di ruoli. Bisogna creare una nuova figura: quella del progettista dell’architettura di qualità, al quale va conferita, da una committenza sia pubblica che privata, l’enorme responsabilità di esprimere l’architettura attraverso il progetto.

Allo stesso modo, considerando il progetto un’attività complessa, è necessario che ad esso collaborino specialisti con una formazione sia specifica che legata alla conoscenza dell’architettura. La responsabilità dell’architettura è di competenza dell’architetto progettista (non genericamente dell’architetto) il quale avrà bisogno di specialisti sensibili all’architettura.

4- Università 

In Italia vi sono prestigiose scuole di architettura: il livello della docenza –per alcuni aspetti legati alla ricerca, all’analisi– è di alta qualità.

Per contro, l’insegnamento universitario si è sviluppato verso una territorializzazione delle scuole di architettura. Questa situazione, invece di creare un sistema diffuso volto alla formazione di progettisti, ha creato l’occasione per ampliare enormemente la classe dei docenti con metodi interni al sistema stesso. Accedono all’insegnamento e a questi viene assicurata una carriera, gli assistenti interni con alle spalle decenni di volontariato non retribuito: il sistema è autoreferenziale e non premia certamente i migliori. L’ultimo concorso nazionale di accesso alla docenza ha confermato procedure e metodi suscitando molte polemiche.

Bisognerebbe sviluppare un insegnamento più diretto a formare architetti progettisti, come nelle scuole politecniche, unificando le facoltà di architettura nei programmi e negli insegnamenti. Andrebbero anche chiamati come docenti i migliori architetti progettisti che hanno dato prova della loro esperienza con la realizzazione di opere costruite e di qualità riconosciuta, prassi consolidata all’estero.

5- Sistema degli incarichi

Da ormai più di un decennio, sotto le “mazzate” di Bersani prima e di Monti dopo, con le famigerate liberalizzazioni che hanno comportato una drastica diminuzione del reddito di centinaia di migliaia di professionisti, gli incarichi pubblici non sono più accessibili ai progettisti di talento. L’abolizione delle tariffe ha abbassato il livello qualitativo delle prestazioni professionali. Molti architetti, la maggioranza giovani, non possono accedere al mercato del lavoro e non hanno prospettive di poterlo fare in tempi brevi. Bisogna dire basta ad altissima voce a questo sistema. È giunto il tempo di una clamorosa protesta degli architetti contro un sistema che non considera la professionalità e la qualità, nonché la necessità del contributo che gli architetti italiani possono dare per lo sviluppo del paese. Bisogna, questa è la mia proposta, bloccare gli incarichi pubblici non partecipando alle gare di progettazione dove sono permessi ribassi immorali, e chiedere una profonda modifica del sistema delle gare di appalto che privilegi la qualità del progetto e non la quantità dei fatturati.

Bisogna riacquistare consapevolezza del valore sociale della nostra professione. Gli Ordini professionali devono assumersi la responsabilità di proteggere e valorizzare l’architettura italiana, in primo luogo gli architetti progettisti che sono per definizione i principali anche se non gli unici costruttori dell’architettura. Vanno sviluppate proposte concrete, un confronto con la classe politica che non sia condiscendenza o collaborativismo come è avvenuto da sempre; atteggiamento che ha portato a zero risultati. La politica in Italia non ha mai considerato, con la sostanziale debolezza degli organi di rappresentanza nazionale e territoriali, gli architetti e l’architettura.

6- Organizzazione degli studi di architettura

In Italia gli studi di architettura sono polverizzati e iper-frammentati. In questo modo non possono competere, non avendo le giuste dimensioni, con i grandi studi esteri e con le società di ingegneria. Il sistema anglosassone privilegia, al contrario, l’aggregazione di diverse competenze e la dimensione medio grande degli studi di architettura.

Questo non sarà mai possibile in Italia fino a quando non vi sarà certezza e chiarezza sulle competenze. I micro studi sono destinati a scomparire per la complessità del processo edilizio e delle strutture che occorrono per esserne protagonisti.

7- Ordini professionali

Va attuata una profonda autoriforma del sistema ordinistico. Esso va reso più aderente ai bisogni della collettività, più garante dell’architettura di qualità e meno degli architetti che non affrontano con grande senso di responsabilità questo straordinario mestiere.

Bisogna privilegiare il merito e il talento, abolire il mantra che tutti gli iscritti agli Ordini possano progettare architetture di qualità: purtroppo non è così perché in Italia solo una piccola percentuale degli architetti e degli ingegneri abilitati progettano e costruiscono opere di architettura. Gli ordini vanno riformati e non aboliti. Vanno abolite le procedure inconcludenti, autoreferenziali, va abolito un sistema che si autorigenera grazie ai contributi erogati dai singoli iscritti agli Ordini. Vanno elaborati metodi e pratiche di valorizzazione e sviluppo del progetto di architettura.

8- Politica dell’architettura 

Senza grandi committenti non può esistere l’architettura. Tutti i politici, prima di assumere incarichi di responsabilità e di gestione amministrativa della res pubblica, dovrebbero tornare sui banchi di scuola e imparare cos’è l’architettura.

Ecco una buona legge da proporre: rendere consapevole la politica che senza l’architettura non può esistere un Paese civile e che l’architettura contribuisce a creare valore e benessere.

L’Italia non sarebbe diventata questo meraviglioso Paese, pieno di opere d’arte, senza l’apporto fondamentale di innumerevoli architetti di talento. Costringiamo i politici italiani a imparare a memoria quel meraviglioso pamphlet di Giò Ponti: “Amate l’Architettura”.

Gaetano Manganello – Architrend Architecture

[© Gaetano Manganello – Vietato riprodurre, anche parzialmente, il materiale pubblicato su Industriarchitettura]

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