Paolo Colarossi - Margine urbano - Mura verdi di San Severo

Consumo sostenibile di suolo agricolo – di Paolo Colarossi

Dal 2006 al 2015, in Italia, sono stati consumati 170.000 ha di terreno agricolo. Negli ultimi anni, tra il 2013 e il 2015, anche se è stato rilevato un rallentamento rispetto agli anni precedenti, sono stati consumati 25.000 ha di territorio, cioè 35 ha in media al giorno, circa 4 mq al secondo [1].

L’Europa propone, già dal 2006, un consumo di suolo pari a zero, obbiettivo che, come precisato nel 2011, dovrebbe essere raggiunto entro il 2050.

La Camera dei Deputati italiana ha approvato nel maggio 2016 un Disegno di Legge sul “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”.

Ma non sempre il consumo di suolo agricolo, nonostante il significato di per sé negativo della parola consumo [2], deve essere considerato negativamente. Infatti il consumo di suolo può anche avere aspetti positivi e, a volte, può essere necessario e auspicabile. Tanto che in alcuni casi è possibile parlare di “consumo sostenibile” di suolo agricolo: può essere definito “sostenibile” un consumo di suolo agricolo quando necessario per ottenere miglioramenti delle condizioni dell’abitare.

Vediamo dove, quando e perché.

Il rovescio della medaglia del contenimento del consumo di suolo agricolo è la rigenerazione urbana. Perché se il consumo di suolo deve tendere (anzi dovrà essere) pari a zero, dove sarà possibile soddisfare le esigenze di crescita, o comunque di sviluppo (attrezzature e servizi) della città?

Il Disegno di Legge afferma già nel titolo (“Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”) questa biunivoca relazione. Chiarita poi nell’art. 4: “Priorità del riuso”, nel quale alle Regioni viene assegnato il compito di “(…) incentivare i comuni, singoli e associati a promuovere strategie di rigenerazione urbana (…)”.

Al termine “rigenerazione” possono essere associate diverse tipologie di intervento: recupero di aree dismesse, densificazioni, demolizioni e ricostruzioni (con aumenti di cubatura). Tutti quegli interventi -in sintesi- che possono essere classificati sotto la parola d’ordine: crescita della città su sé stessa.

Ma tutti gli interventi di rigenerazione dovrebbero avere come obbiettivo principale e prioritario il miglioramento delle condizioni dell’abitare nelle città e nel territorio. O comunque avere come uno degli obbiettivi quello di tendere alla realizzazione delle condizioni per un buon abitare.

Per un buon abitare occorre soddisfare, almeno per quanto riguarda i compiti dell’urbanistica, alcune esigenze fondamentali degli abitanti, che sono esigenze di accoglienza, di urbanità e di bellezza.

Tre esigenze che possono essere soddisfatte attraverso il miglioramento del sistema di servizi e spazi pubblici.

Con una particolare attenzione alla dimensione del quartiere.

Infatti accoglienza vuol dire avere a disposizione degli abitanti spazi pubblici accessibili a tutti, sicuri e gradevoli anche perché prevalentemente pedonali. Urbanità vuol dire che gli abitanti possono godere dell’uso di servizi e attrezzature, facilmente raggiungibili perché disposte attorno o lungo accoglienti spazi pubblici qualificati da un adeguato arredo urbano.

La bellezza -nella città- si fonda sulla forma e arredo degli spazi pubblici (del sistema di spazi pubblici), ma anche sulla qualità dell’accoglienza e dell’urbanità.

E la dimensione del quartiere, in quanto ambito di vita di tutti i suoi abitanti, è quella nella quale queste qualità sono meglio attuabili e apprezzabili.

Un quartiere è bello perché organizzato e caratterizzato da un chiaro sistema di spazi pubblici ben connessi tra loro, ma anche perché quel sistema possiede le qualità di accoglienza e urbanità.

Come però sappiamo, nelle parti di città costruite più recentemente (negli ultimi sessanta-settanta anni) molto raramente si possono trovare le qualità per un buon abitare, cioè un sistema adeguato di spazi pubblici e servizi. Niente piazze, niente passeggiate, poco verde e mal tenuto. Solo strade e parcheggi.

In definitiva, dunque, la rigenerazione urbana per un quartiere richiede spesso anche il miglioramento (vale a dire la costruzione o il consolidamento) del sistema dei suoi luoghi centrali (la costruzione o il consolidamento del centro di quartiere).

Ma non sempre all’interno del tessuto di un quartiere sono disponibili le aree o gli spazi necessari per la realizzazione di una piazza, di un giardino pubblico, di una passeggiata e dei servizi e attrezzature che possano caratterizzarli anche come centro del quartiere.

Se però quel quartiere è affacciato sulla campagna, allora quegli spazi pubblici che sono necessari alla sua rigenerazione potranno essere localizzati occupando una limitata parte di area agricola.

Si può parlare, allora, di “consumo sostenibile di suolo agricolo” quando esso sia necessario alla rigenerazione di un quartiere, cioè alla costruzione di nuovi servizi e spazi pubblici sui margini dello stesso quartiere.

Ma ancora di più: il margine di un quartiere, o più in generale di una città, deve essere concepito come una componente di un sistema complesso formato da due tipi di margini: il margine urbano e il margine rurale [3].

I margini urbani possiamo definirli come le fasce urbanizzate dei quartieri periferici che sono a contatto con la campagna. Contatto che può essere netto, secondo una evidente linea di separazione tra edificato e area di campagna (margine lineare), o un contatto molto articolato, formato da edifici inframmezzati con aree non edificate di varia natura (margine urbano sfrangiato).

Il margine rurale è quella fascia di campagna, a contatto con la città (con il margine urbano), che si può definire campagna periurbana.

La campagna periurbana può essere definita come tale sia in quanto fascia di territorio che contorna l’area urbanizzata, sia perché luogo di incerta definizione, non-città ma anche non-campagna, che può essere utilizzato nei più vari modi: residenze sparse, attività diverse, orti e aree coltivate o abbandonate, depositi e discariche abusive. Un luogo percepito dagli abitanti della città privo di valori e dunque, proprio perché contiguo alla città, facilmente occupabile con usi urbani spesso apportatori di degrado. E infatti generalmente l’area agricola periurbana è in situazioni di degrado ambientale e paesaggistico. Mentre, e ancora proprio grazie alla sua contiguità con l’area urbana, potrebbe svolgere un ruolo rilevante nel miglioramento delle condizioni dell’abitare delle aree periferiche in quanto luogo di potenziali o ancora presenti valori ambientali e paesaggistici.

L’area agricola periurbana è parte sostanziale della rigenerazione e caratterizzazione dei quartieri periferici [4].

Dunque un limitato consumo di suolo agricolo lungo i margini urbani (lungo il bordo dei margini urbani) può produrre non solo un miglioramento delle condizioni dell’abitare attraverso il miglioramento del sistema di spazi pubblici e servizi, ma anche essere occasione per la costruzione di un nuovo rapporto città campagna, con effetti positivi di scala ampia, non solo sui quartieri interessati ma anche sull’intera area urbana.

Infatti un nuovo rapporto città campagna presuppone un nuovo atteggiamento culturale che induca una percezione diffusa, negli abitanti, dei valori produttivi, ambientali e paesaggistici della campagna. Ma presuppone anche assetti fisici e d’uso adeguati sia per il margine urbano che per la stessa area agricola periurbana.

Per il margine urbano, l’intervento sui bordi è l’occasione per modificare radicalmente la situazione attuale, nella quale la città volge le spalle alla campagna: perché in genere gli edifici mostrano il retro alla campagna e i quartieri periferici sono tutti proiettati (viabilità, attrezzature e servizi) verso l’interno dell’area urbana.

Mentre uno dei modi di intervento che possono produrre effetti anche sull’atteggiamento culturale degli abitanti è quello di mettere fisicamente e visualmente a contatto con il margine rurale gli spazi pubblici dei quartieri. Facendo affacciare la città verso la campagna.

Campagna che però, in quanto periurbana deve essere considerata, come detto, anche come area che possa contribuire alle qualità dell’abitare urbano. Dunque un’area nella quale, pur conservando o incrementando le qualità paesaggistiche e produttive proprie di un’area rurale, siano ammessi anche alcuni usi attrattivi per gli abitanti della città, quali attività sportive, culturali, passeggiate, percorsi ciclo-pedonali e piccole attrezzature per la ristorazione. Così che la campagna periurbana possa essere percepita come parte verde della città e dei quartieri che con essa confinano, parte per la quale vanno elaborate e applicate attente politiche di incentivo e di controllo dell’Amministrazione comunale.

Da quanto detto, possono essere estratti tre principi fondamentali che dovrebbero guidare i progetti per l’assetto del sistema complesso margine urbano-margine rurale (complesso che è il confine città–campagna, tra la campagna profonda e la città profonda [5]): consumo limitato di suolo agricolo, creazione di un sistema di spazi pubblici (di un centro di quartiere), affaccio della città verso la campagna

Il consumo di suolo agricolo può essere limitato perché, per soddisfare l’obbiettivo della realizzazione del sistema di spazi pubblici necessari alla rigenerazione del quartiere sarà sufficiente occupare una stretta striscia di suolo agricolo: il “nastro di consumo”. Infatti un nastro di profondità circa 40–50 metri è la dimensione adeguata per accogliere piazze, giardini e passeggiate, con i relativi eventuali edifici per attrezzature e servizi pubblici. Ed anche un bel viale alberato, il cui tracciato dovrebbe costituire il bordo tra margine urbano e margine rurale e che collegando tra loro gli spazi pubblici realizzerebbe un affaccio continuo dei quartieri (della città) verso la campagna. Oltre che costruire un paesaggio del bordo di qualità anche per le visuali dalla campagna verso la città.

A questi tre indirizzi progettuali se ne può aggiungere un altro per la fattibilità del progetto: l’acquisizione delle aree degli spazi pubblici e la realizzazione di alcuni degli stessi spazi pubblici (in particolare il viale) tramite compensazioni.

L’operazione di compensazione potrebbe essere attuata compensando la cessione delle aree private (cessione del 70-80% della proprietà) con indici edificatori da realizzare sulla restante area di proprietà.

La grandezza degli indici varierebbe da un minimo di 0,05-0,06 mq/mq da calcolarsi sulla superficie dell’area ceduta, nel caso di sola cessione dell’area, a un massimo che dovrebbe prendere in conto anche i costi per la realizzazione del viale di bordo, o di una piazza o di un giardino pubblico.

Il limite massimo però deve dipendere anche dal principio di dover limitare, appunto, per ragioni urbanistiche e paesaggistiche, densità ed altezze degli edifici in affaccio sulla campagna.

L’operazione di compensazione comporta ovviamente un ulteriore consumo di suolo agricolo. Ma i vantaggi per la collettività sono evidenti.

E si tratterebbe comunque di consumare tutta quella quantità e soltanto quella quantità di suolo necessaria a realizzare il sistema di spazi pubblici.

Dunque un consumo sostenibile di suolo agricolo.

Un altro caso nel quale si può parlare di consumo di suolo sostenibile è quello della rigenerazione della campagna abitata.

Possono essere così denominate quelle aree, assai diffuse in Italia, nelle quali ancora è prevalente il paesaggio rurale delle coltivazioni (olivo, vite, frutteto, orti) o comunque del verde, ma con una presenza importante di residenze (lotti che vanno dai due-tre ettari fino ai 5.000 mq).

Si tratta di aree, anche di notevole estensione, con centinaia e a volte migliaia di abitanti e prive di attrezzature, servizi e spazi pubblici di relazione.

Aree abitate, non sufficientemente vicine a centri abitati per poter usufruire dei loro servizi e attrezzature.

Anche per queste aree la rigenerazione dovrebbe essere intesa come realizzazione di luoghi centrali, calibrati sulla dimensione rurale del loro contesto, nei quali concentrare le attrezzature, i servizi e gli spazi pubblici. Luoghi centrali che darebbero struttura e riconoscibilità a quelle aree.

In questo caso i nuovi luoghi centrali dovrebbero essere concepiti come piccoli o piccolissimi nuclei edilizi rurali con una adeguata quota di residenza e i servizi, le attrezzature e gli spazi pubblici necessari (soprattutto piccole piazze o piccoli giardini pubblici). A seconda della estensione e densità dell’area da servire, possono essere individuati due tipi di nuclei: i piccoli borghi, per aree più estese, e le piazzette rurali.

I piccoli borghi possono avere dimensioni tali da permettere la presenza di un tessuto edilizio residenziale disegnato attorno al sistema degli spazi pubblici che lo strutturano. E attorno al tessuto potrebbe essere prevista la localizzazione di quelle attrezzature private (commercio, artigianato, cultura, tempo libero, ristorazione, ecc.) che spesso prediligono un paesaggio verde e che in genere si collocano un po’ a caso nelle aree agricole.

Le piazzette rurali possono esser concepite proprio come spazi pubblici di relazione (piazzette o giardini pubblici) lungo i margini dei quali disporre le attrezzature pubbliche o private (scuola, palestra, ecc.) e pochi edifici residenziali con al piano terra le attrezzature commerciali per uso quotidiano.

Sono tre gli indirizzi progettuali di base che possono essere dati per i piccoli borghi e per le piazzette rurali: localizzazione baricentrica quanto possibile rispetto all’area della campagna abitata servita, accessibilità elevata da questa (localizzazione sulla viabilità più importante ed eventuale completamento di tratti di viabilità locale), tipi edilizi prevalentemente di due piani, eventualmente di tre piani ma solo attorno agli spazi pubblici principali.

Anche in questo caso andrebbe utilizzata la compensazione come strumento per l’attuazione, per le stesse motivazioni e per gli stessi vantaggi citati nel caso della rigenerazione dei quartieri periferici (dei margini urbani).

E anche in questo caso si può affermare la sostenibilità del consumo di suolo agricolo.

di Paolo Colarossi

[© Paolo Colarossi – Vietato riprodurre, anche parzialmente, il materiale pubblicato su Industriarchitettura]

Note:

[1] Dati tratti da: ISPRA, “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”, Edizione 2016, pag.12.

[2] Consumo: “Il fatto di consumare, cioè di distruggere, di ridurre al nulla mediante l’uso o l’utilizzazione per determinati fini o bisogni”. Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana-1986

[3] È utile a proposito di margini urbani e margini rurali il riferimento al Piano Paesistico Territoriale della regione Puglia, che, nelle “Linee Guida per il Patto Città Campagna”, dà le definizioni per margine urbano, margine rurale, bordo e confine:

“Il margine è il più esterno elemento di un determinato contesto, sia esso città o campagna, privo di una parte interna. Il margine urbano può essere il fronte di edifici che si affaccia sulla campagna periurbana, il tessuto di case di una lottizzazione che definisce il perimetro urbanizzato di un centro abitato; sul versante agricolo, il margine rurale può essere un sistema di orti a ridosso della città, oppure coltivazioni arborate in una campagna a seminativo. Il bordo è, invece, la linea che separa i margini degli elementi di paesaggi adiacenti, come una recinzione o un filare alberato.

Ne deriva che due margini, definiti dai rispettivi bordi, compongono un confine. La caratteristica del confine è quella di essere posto a cavallo tra un territorio costruito ed uno spazio aperto coltivato ma si percepisce come un unico paesaggio che può essere governato solo dentro una politica agro-urbana.”

[4] Il progetto Patto città campagna “(…) ha ad oggetto la riqualificazione dei paesaggi degradati delle periferie e delle urbanizzazioni diffuse, la ricostruzione dei margini urbani, la realizzazione di cinture verdi periurbane e di parchi agricoli multifunzionali, nonché la riforestazione urbana anche al fine di ridefinire con chiarezza il reticolo urbano, i suoi confini “verdi” e le sue relazioni di reciprocità con il territorio rurale.” (NTA del PTPR Regione Puglia, Titolo IV, capo II, art 31, comma 2).

[5] Cfr. le Linee Guida per il Patto Città Campagna del PPTR della Regione Puglia.

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