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Otto punti per rilanciare l’architettura in Italia – di Camillo Botticini

Una premessa per me inguaribile ottimista è che in Italia i cambiamenti, anche quando necessari, non avvengano per un’inerzia strutturale di un paese che avrebbe le risorse per essere meglio di quello che è ma resta immobile per le comprensibili ma ormai gravissime resistenze di chi detiene i diversi ruoli o poteri.

Quindi scrivere in questo senso spero non risulti inutile:

1- Il primo punto riguarda simultaneamente il ruolo dell’architettura ed il ruolo sociale dell’architetto.  Senza un riconoscimento istituzionale che si traduca in legge operativa, come in Francia, non avremo le condizioni per rideterminare una figura che sia depositaria della cultura necessaria per trasformare città e luoghi.

Ritengo che attraverso l’azione dello Stato, con le opere pubbliche ed il concorso come strumento operativo, si possano generare architetture qualitative che rappresentino le istituzioni (scuole, ospedali, municipi, impianti sportivi  etc..) con la possibilità di essere modello e guida anche per gli operatori privati (che avrebbero la stessa responsabilità verso le trasformazioni insediative).

2- In questo senso agli operatori privati (imprese) vanno dati strumenti ed incentivi per favorire e individuare una qualità non solo legata alla sostenibilità energetica ma, complessivamente, anche ambientale ed architettonica in senso lato.

3- Il quadro normativo e disciplinare è sempre più complesso. Andrebbero per questo promosse le associazioni professionali in grado di restituire una generale integrazione delle discipline, dove però dovrebbe essere l’architettura e la sua qualità a vincere e non la gestione tecnico burocratica del processo, come avviene oggi con le società di ingegneria che controllano il mercato reale del progetto e che confondono, favorite dal sistema, i fini con i mezzi.

4- Le Università dovrebbero ricomporre, senza cadere nel professionalismo del passato, la frattura sempre più evidente tra accademia e reale capacità di controllo del progetto.

Molti docenti sono infatti lontani dai contenuti e dai modi di realizzare un’architettura. In Italia i migliori architetti sono marginalizzati o esclusi dall’accademia e viene così ad allargarsi una situazione che continua a perdurare con la formazione di studenti incapaci di affrontare il mondo del progetto.

I prodotti progettuali degli accademici (con le debite eccezioni) sono spesso dilettantistici, sia dal punto di vista concettuale che complessivo, con l’aggravante che gli stessi diventano anche i decisori di chi è idoneo ad insegnare. In questo senso andrebbero ripensati i criteri di reclutamento dei professori universitari.

5- Va costruita per contro una condizione di formazione permanente dei professionisti, non riconducibile a banali corsi formativi ma ad un reale aggiornamento sui contenuti di un lavoro che cambia, strutturando l’insegnamento con le Università e costruendo uno scambio più attivo che vitalizzi reciprocamente ambiti accademici, di ricerca e professionali.

6- In questo senso gli Ordini professionali possono trovare nuove potenzialità lavorando con le Università, assumendo un ruolo vero e centrale, realizzando una formazione professionale costante basata su di una solida ed identificabile struttura formativa.

7- Un ruolo da ridefinire è anche quello delle istituzioni che possono e devono costruire un sistema che rappresenti anche, economicamente, un valore per il paese, investendo in iniziative culturali di promozione dell’architettura italiana nel mondo, instaurando reali occasioni di lavoro, soprattutto per le giovani generazioni, consentendo alle risorse progettuali qui in eccesso un possibile sbocco.

8- Quanto sopra deve essere affermato e promosso per far comprendere a tutti il ruolo non inutilmente sovrastrutturale dell’architettura e di chi la realizza, creando come già Bruno Zevi aveva provato a fare con l’InArch, un circolo virtuoso tra progettisti, imprese e operatori immobiliari insieme allo Stato e alle pubbliche amministrazioni.

Camillo Botticini

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