Luigi Pellegrin - Industriarchitettura - Copertina

Luigi Pellegrin. Una strada da (ri)percorrere – di Sergio Bianchi

Pellegrin è un architetto radicale. Col termine radicale mi riferisco sia alla capacità di penetrare la realtà alla ricerca del senso ultimo delle cose che alla ricerca delle origini, di un punto saldo da cui partire per la sua continua ricerca sul senso e sul luogo dell’uomo nell’universo.

Chi ha avuto la fortuna di incontrare Luigi Pellegrin sa bene quanto il suo pensiero e il suo operare siano estremamente attuali. Per chi questa fortuna non l’ha avuta, credo che possa essere utile immergersi in questo suo testo inedito del 1998.

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LETTURA DEI DISEGNI – Un testo inedito di Luigi Pellegrin

« Sullivan disegna basandosi sulla concatenazione dei flussi.

Chi ha espresso i primi disegni del Caos prima che Einstein dichiarasse che lo spazio è curvo ?

Sullivan.

Sullivan ha disegnato frammenti non di geometria di Talete, ma frammenti di geometria caotica.

Io mi onoro di dire che non ho capito subito, ma ho sentito subito nel pomeriggio che ero a Chicago, all’ Art Institute, quando una signora gentile mi fece vedere i disegni di Sullivan.

Io mi trovai di fronte alle tavole della legge aperte (a matita, leggerissime).

(Non avevo capito , ma avevo sentito).

Nei suoi scritti Sullivan fa una serie di analisi, di osservazioni, di pensieri vaghi, non collegati o collegati che hanno lo scopo di sollevare il pensiero sull’Architettura dallo spessore che dal 1000 a. C. è diventato non edilizia, ma costume architettonico più alto.

È chiaro che quando dico 1000 a. C. mi riferisco alla Civiltà occidentale; la stessa cifra non vale per le altre zone del mondo.

I sollevamenti sopra il livello di costume raggiunto nella concretizzazione dell’arte che noi chiamiamo dell’Architettura classica nel nostro Pianeta, Civiltà occidentale, ha permesso solo qualche fuori uscita, qualche fiammata che è stata sempre ammazzata.

Nelle altre parti del mondo hanno fatto cose di elevatissimo spessore, ben superiore al livello di costume cui ho accennato, le architetture Kmer  in Cambogia, Indonesia, Vietnam, Kyoto, e gli Atzechi e i Maya i quali non hanno operato a creare un costume architettonico, hanno operato solo al di sopra del costume architettonico.

Noi abbiamo operato nel mantenere un costume architettonico appiattito.

Noi in questo momento siamo in un periodo di cambiamento epocale, non abbiamo più sufficienza, fiducia nell’idea di Civiltà e nell’idea di progresso .

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 Partecipiamo a tutti i frutti della Civiltà, ma senza parteciparvi più psichicamente.

Quindi c’è una rottura, tutti compriamo una automobile, tutti compriamo il laser ma non crediamo che ci appartengono, sappiamo che non ci aumentano.

Viviamo da randagi, psichicamente indeboliti, fisicamente indeboliti.

Il cambiamento è questo.

L’uomo comincia ad accorgersi che la cosiddetta Civiltà ha prodotto una enormità che serve tanto ma che non è sufficiente a realizzare due condizioni:

1) il mantenimento della qualità psichica dell’individuo

2) a mantenere la possibilità di rapporto fra natura e figlio che è l’uomo.

Il dubbio atroce in pochissimi evidente, in tantissimi latente è questo. È semplice, la Civiltà è come tutte le altre cose: non è biologica, ma è para-biologica, è una cosa che nasce, cresce, matura e deperisce.

È come un frutto.

La pera diventa pera per essere nutrimento non a sé stessa ma a quello che verrà dopo.

La Civiltà nostra è nutrimento a quello che verrà dopo.

Non possiamo continuare a essere civilizzati in questo modo.

Dobbiamo usare quello che la Civiltà ci ha dato e trasformare questo in nuovo progetto.

È chiaro che la dualità dell’uomo è la sua gloria e la sua condanna.

La dualità comincia nel non toccabile: Spirito –  Anima

Continua nella Società: individuo – Comunità.

Ci sono una serie infinite di dualità in atto.

La dualità è anche nel lungo percorso che permetteva a un uomo 700.000 anni fa di suonare, mentre nessun animale aveva suonato prima, e all’altro vicino di casa di essere un brutale macellaio: i due livelli.

Nessun figlio nasce perché c’è una scopata.

Quando un figlio nasce è per una serie di ragioni che non sono né tangibili, né toccabili, forse è il figlio che chiede di nascere, forse sono due persone che chiedono a sé stesse di diventare una attraverso una terza.

Quindi ci sono sempre due livelli: uno noto e conoscibile e uno solo intuibile o sentibile.

Queste due cose vanno in parallelo.

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Quando gli Egizi hanno messo il coordinamento fra le tre Piramidi obbedendo alla stessa legge di riferimento astrale con cui i Khmer hanno disposto Angkor Wat rispondevano a un impulso che non era conscio ma era ragione di una relazione in parte conscia, in parte inconscia con la realtà madre. Non è blasfemo che io dica ai Kogi: la terra non è la madre, ma è la seconda madre o la terza madre.

Prima della madre Terra c’è la madre SPAZIO COSMICO perché la Terra nasce dalla Spazio cosmico.

È nello spazio cosmico che ha ragione, funzione di esistere nel senso di esistere per esprimersi e basta, una quantità X di carbonio, di idrogeno, di elio, di energia chimica che ogni giorno figliano, ogni giorno cambiano spazio e tutto è coordinato in un movimento che siccome Noi, figli della Civiltà occidentale, non vogliamo accettare che sia, abbiamo detto che si chiama “CAOS”.

Questo perché siamo figli dell’idea di cosmo in cui avevamo fermato tutto, nel periodo dell’arte classica e nel periodo del Cristianesimo quando la Terra era al centro e tutto era fermo.

Adesso che, dal punto di vista scientifico, dal punto di vista dei sensi, sappiamo che tutto è movimento e che l’organizzazione di livello superiore non è riferibile a nessuna forma geometrica che sia razionalizzata, sappiamo una cosa: non possediamo più la geometria per progettare.

La geometria euclidea è semplicemente una somma di vaganti frammenti, pezzi di geometria che non danno la possibilità di assetto geometrico.

Newton era più mago che scienziato, per questo ha capito certe cose.

Dopo ho ragionato.

Ed è il motivo per cui, forse, ho preso a fare quello che non hanno fatto gli architetti della mia generazione: ho fatto tanti schizzi, ho fatto disegni piccoli, disegni grandi, schizzi.

Mi sono rifiutato di andare oltre, mi sono rifiutato di far finta di dare codice.

Ho voluto mantenere che fossero brandelli, suggerimenti parziali perché consciamente e inconsciamente sapevo che quello che io schizzavo era un senso del necessario, ma non la sapienza per definire il necessario.

I Contemporanei hanno schizzato per fare il progetto.

Io no, io ho schizzato brandelli di geometria cosmica, caotica, leggibili o illeggibili.

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 Lì era chiarissimo che non volevo partecipare alla elaborazione di nuovi Vangeli.

Quando i Vangeli prendono forma la morte è certa, il processo è finito.

Qui si tratta di rifondare una infanzia della geometria e Chi afferma, è uno che finge.

È chiaro che in questo percorso che comincia con quello che ho scritto nel 1966, ho trovato sollievo, conforto guardando intorno.

Ho avuto alcune deità di riferimento che mi sono state sempre sopra, ma non sopra la testa, più in alto del mio occhio, a sinistra e a destra.

Erano i punti cardinali: il perché dello ziggurat, il perché della Piramide egizia, il perché delle Piramidi del sole e della luna, il perché della piana fra le due, il perché di Angkor, un Universo completo, complesso, assurdo come la creazione di una deità non terrestre che si era divertita a scendere, per un week end, sulla Terra e lasciare un segno.

A destra in alto le grandi sculture dei Buddha alti 60 – 80 metri, i grandi scavi dentro le montagne.

Questi mi hanno sempre accompagnato.

Intorno ho trovato brandelli.

È chiaro che mi hanno nutrito i brandelli di Alchimia che sono diventati disegno, stampa in pietra.

Ho odiato i Mandala perché coprivano la verità, ma adesso ho capito che coprivano la verità per non farla sprecare.

Ho amato pensare 1.500 volte all’utero in pietra che sta a Malta e che grida: “Non diventate schiavi della ragione, perché Chi nasce in un utero non deve accettare che la ragione abbia preminenza” ».

(Luigi Pellegrin – Lettura dei disegni, 1998)

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UNA RICOSTRUZIONE STORICA – di Sergio Bianchi

Dal punto di vista architettonico, le prime radici Luigi Pellegrin le trova in Armando Brasini e in Frank Lloyd Wright. Brasini agli inizi del ‘900 lavora ancora nel segno della grande tradizione dell’architettura romana: Pellegrin è un bambino quando entra in contatto con Brasini e il cantiere. Nel 1930 il padre di Pellegrin lavora alla costruzione della Casa Provinciale della Congregazione di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore di Augiere. Pellegrin racconta: “avevo cinque anni al Buon Pastore. Passai lì i cinque anni successivi, mentre l’edificio cresceva più in fretta di me”. Il complesso è un immenso castello barocco adagiato sulle verdi colline che degradano verso la città; sullo sfondo, in lontananza, la cupola di San Pietro. Intorno solo campi verdi.

Venti anni dopo, all’inizio degli anni ’50 Pellegrin inizia la sua attività di architetto. La guerra è appena finita, inizia la ricostruzione e Pellegrin sceglie la via dell’organico. Affonda le sue radici in Wright. Nella prima metà degli anni ’50, si reca più volte negli Stati Uniti. Prima è in Louisiana dove l’esperienza nello studio di W. R. Burck lo porterà a confrontarsi con il tema dell’edilizia scolastica. Poi è a Chicago. All’Art Institute scopre i disegni di Louis Sullivan. Ne resterà folgorato e quella visione nutrirà tutta la sua ricerca.

Negli stessi soggiorni inizia una indagine profonda sulla “Scuola di Chicago”, raccolta in un ampio reportage fotografico, che Zevi pubblica in una una serie di articoli su “L’Architettura. Cronache e Storia” tra  il 1956 e il 1957.

In questi primi anni Pellegrin si nutre di architettura organica, assorbe e metabolizza il concetto di spazio, la ricerca sulla natura dei materiali, la luce.  Nel 1956 Pellegrin incontra Wright che è a Roma ospite di Bruno Zevi.

Nelle prime opere, particolarmente negli uffici postali di Saronno e Suzzara entrambi del 1958, e alla palazzina Villino Cecilia a Roma del 1960, è evidente l’influsso di Wright, ma si percepisce anche l’elaborazione individuale dei temi dell’organico che Pellegrin va maturando.

A Chicago Pellegrin ha compiuto un balzo all’indietro approfondendo le sue radici in Sullivan.

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Di Wright apprezza la ancestrale capacità di “saltare la storia e di far riaffiorare forme arcaiche”.

Ma è nei disegni di Sullivan osservati all’Art Institute di Chicago che ha intravisto qualcosa di impalpabile ma al tempo stesso evidente. In quei disegni, fatti di geometrie rigide e fluenti vede il caos e il cosmo, l’affiorare di moti primordiali che innervano la materia. Vede il coagularsi di flussi di energia. Un fermo immagine sul brodo primordiale. Vede il seme e il suo crescere e svilupparsi secondo meccanismi ad un tempo liberi e codificati.

Dal 1966 si cimenta in una serie di disegni fantastici che riprendono i moti della materia.

Quel seme genera in lui una ricerca sul come l’artificiale debba relazionarsi con il pianeta.

Nel 1992 riordina quella serie di visioni per temi. I titoli sono emblematici: “Il primordiale “ricordato” prende forma nello spazio”, “Il primordiale ricordato scende e tocca il pianeta”, “Forme che cercano realizzazione”, “Domani”.

Nei disegni prefigura spazi che fluttuano sulla superficie del pianeta. Gli appoggi sono ridotti al minimo. Spesso è la superficie stessa del pianeta che si torce e genera spazio, come nel formarsi della grande onda di Hokusai.

Queste visioni gli suggeriscono un modo diverso di abitare il pianeta. L’idea di insediamenti intesi come coaguli di materia sollevata dal suolo.

L’idea era in nuce nel pensiero di Le Corbusier.

A tale riguardo Pellegrin scrive “la linea del piano per Algeri proponeva un organismo territoriale che cambiava con le stagioni e produceva incontri radicali con l’acqua e le montagne. Nella linea, in questo habitat lineare, erano inclusi sistemi di trasporto, colture idroponiche, servizi sociali e culturali e la tecnologia in grado di eradicare il problema dello spreco”. Quello spreco di territorio che oggi chiamiamo sprawl.

Nel pensiero di Le Corbusier c’era anche il distacco dal suolo: i pilotis,  che dovevano permettere una continuità visiva al livello del terreno. Ma per Pellegrin i pilotis di Le Corbusier non sono sufficienti perché “non permettono alla terra di respirare”.

“I pilotis debbono permettere la vera continuità” per cui li estrude e li distanzia “spostando il costruito tra i 20 e i 40 metri dal suolo”.

Pellegrin è estremamente pragmatico. I disegni che prefigurano artificiali abitati “altri” non sono una fuga, sono indagini, sperimentazioni.

Per lui la ricerca non resta confinata ai magici disegni ma, anche a costo di rinunciare alla possibilità di veder realizzato il proprio lavoro, si incarna in ogni occasione.

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Appare nella casa costruita per se sulla via Aurelia del 1964, dove lo spazio del soggiorno è un disco incastrato a mezz’aria tra due volumi triangolari; torna in modo estremamente chiaro nel concorso per l’Università di Barcellona del 1969 (secondo premio), dove oltre alla potenza dello spostamento del costruito verso l’alto, si percepisce la grande capacità organizzativa.

Nel 1970 è la volta del quartiere ZEN a Palermo, dove le residenze realizzano la copertura dello spazio pubblico.

Ancora del 1970 è il vettore habitat a scala geografica; a tale riguardo Pellegrin scrive “vi è grande sentire o piacere nell’immaginare il passaggio dalla staticità di una linea alla sua crescita in vettore cavità contenete, che si libera dalla sua aderenza al suolo e può penetrare montagne e riemergere alla luce e continuare per avvolgersi in spire che realizzano un nodo, un luogo di aggregazione”.

Negli anni ’70 si dedica all’edilizia scolastica e anche in questa occasione, oltre a realizzare spazi che accrescono l’esperienza didattica,  sperimenta nuovi utilizzi del suolo. Nel 1972 a Pisa la copertura della scuola diviene un piano inclinato che restituisce, in copertura, lo spazio che l’edificio occupa al livello del suolo. Nel 1973 a Roma, nell’istituto Volta lo spazio didattico è appeso a travi  prefabbricate e il suolo è lasciato libero. È interessante notare come l’Istituto Volta sorga nei pressi del Buon Pastore di Brasini, su quelle colline che Pellegrin non ha mai abbandonato e per le quali ha sempre immaginato un’ipotesi “altra” di habitat.

Nel 1974 progetta e realizza un modulo residenziale in resina poliestere rinforzata. Sinteticamente lo definisce monogetto componibile. Sono gli anni della sua intensa attività sulla prefabbricazione. Una ricerca che lo porta a sviluppare numerosi brevetti applicati per lo più all’edilizia scolastica. Ovviamente la ricerca sulla prefabbricazione si fonde alla ricerca sull’habitat. Inizia una costante ricerca sulla cellula abitativa pensata sempre come occasione di spazialità.  La cellula ha la sua ragione solo in termini di aggregazione e l’aggregazione deve chiudersi parzialmente a creare spazio e generare macrospaziature in modo da permettere a terra il fluire degli spazi.

Del 1983 sono il concorso per il Parco urbano de “la Villette” a Parigi e la consultazione internazionale sull’utilizzo del Lingotto Fiat a Torino.

In entrambi i progetti approfondisce il tema del creare spazio liberando il suolo e di attivare connessioni con l’intorno. I progetti sono nodi che devono relazionarsi all’intorno rigenerandolo. Tale approccio è il medesimo che utilizza negli studi sulle aree ferroviarie a Roma portate avanti negli anni ’90. Per la stazione Termini immagina, in un primo momento, di ridurre il sedime dei binari concentrandoli su più livelli in modo da liberare spazio per far posto ad un parco archeologico che si articola in una serie di piazze soprelevate, poi il passo successivo. Spostare la stazione nella vasta area delle ferrovie attorno allo scalo. In questo modo realizza un nodo passante alla grande scala e libera l’area di Termini in modo che la città se ne riappropri. Analogo ragionamento vale per la stazione Tiburtina dove la stazione ferroviaria soprelevata è l’occasione per collegare brani di città che ancora oggi non dialogano.

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Nel 1986, l’invito ad un concorso su temi ecologici a Los Angeles, offre a Pellegrin l’occasione per sintetizzare la sua ricerca e per proporre un metodo per combattere l’attuale utilizzo dei suoli: copiare Saturno.

In linea con l’approccio di Soleri e di Fuller, secondo cui lo sviluppo del genere umano impone di guardare al pianeta dallo spazio per esaminare l’influsso dell’artificiale nella sua globalità, Pellegrin propone interventi alla scala planetaria. Immagina di insediare la popolazione in un anello sopraelevato lungo l’equatore: “Sul nostro pianeta Terra la zona temperata è il posto più logico dove vivere in armonia con le condizioni naturali”.

In una visione che nega l’antropocentrismo, ma che non nega il posto dell’uomo, Pellegrin propone un nuovo luogo per l’uomo sul pianeta. Un luogo che lasci spazio anche agli altri, al naturale, al vegetale: Visioni di grande forza e di grande rispetto per l’ecosistema. Visioni di un ambiente liberato dove il costruito viene concentrato in nodi densi sollevati dal suolo.

Contrariamente all’approccio contemporaneo, mutuando la ricerca dalla fantascienza e radicandosi nelle visioni di Louis Sullivan, Pellegrin propone un approccio forte. Liberare il suolo è l’imperativo costante, il posto dell’uomo è sopra, in macro escrescenze specializzate collegate da linee che contengono flussi di energia.

A terra il naturale si riappropria dello spazio, l’artificiale è concentrato in pochi, densi punti singolari.

Pellegrin, cambiando il punto di vista, saltando alla scala del pianeta, ci mostra come affrontare il tema della sostenibilità, oggi inflazionato, in un modo “altro”, coraggioso.

Ancora una considerazione.

Si può discutere sulle forme e sui modi della ricerca; Pellegrin stesso tornava costantemente sui propri progetti, rivedendoli, aggiornandoli, in una continua riflessione in cerca di soluzioni sempre più appropriate ai problemi che incarnavano la sua stessa esistenza. La ricerca per lui non era mai chiusa, si doveva sempre andare avanti, investigare in una ricerca costante che diventava tutt’uno con l’esistenza.. Quei progetti non sono mai finiti, restano ancora oggi come brandelli di un work in progress mentale che è doveroso continuare.

In occasione della conclusione della sua attività didattica ricordo che disse “non sono stato bravo nella professione, sono stato efficiente nell’indicare una strada”. Una strada che merita di essere (ri)percorsa.

Sergio Bianchi – Studio Bianchi Architettura

(©SergioBianchi – Vietato riprodurre, anche parzialmente, il materiale pubblicato su Industriarchitettura)

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DIDASCALIA IMMAGINI

1- Luigi Pellegrin – Dal ciclo di disegni “La rilettura della nostra storia” – 1972 – 1

2- Luigi Pellegrin – Dal ciclo di disegni “La rilettura della nostra storia” – 1972 – 2

3- Luigi Pellegrin – Dal ciclo di disegni “La rilettura della nostra storia” – 1972 – 3

4- Luigi Pellegrin – Il primordiale ricordato scende e tocca il pianeta – 1974

5- Luigi Pellegrin – Dal ciclo di disegni “Il progetto che arriva dall’alto” – 1984

6- Luigi Pellegrin – Concorso internazionale per il parco La Villette – 1983

7- Luigi Pellegrin – The arrival of New Zambia – 1991

8- Luigi Pellegrin – Vettore habitat a scala geografica – 1970

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