Alessandro Melis - City for insects - In Copertina

Piranesi su Giove – di Alessandro Melis

Dagli appunti di un certo GB (1745): “Ricordo che la gravità è sostituita da qualche forma di aderenza superficiale alla materia. È ciò che per noi è aria, lì è più simile ad un fluido in continuo movimento che penetra e riempie ogni cavità del sistema respiratorio. Nessuna traccia degli uomini. Eppure da lontano le grandi masse di materia, prive di orientamento, sembrano artificiali”.

“Fluttuavo tra le collisioni di immense strutture, simili a cattedrali gotiche, ma più mi avvicinavo, più ogni cosa sembrava acquisire una qualità zoomorfa o vegetale. Pensai ad un passato lontano dopo la scomparsa di una antica civiltà che aveva forse scoperto l’armonia tra materia organica ed inanimata. Poi penetrai negli anfratti di una montagna cubica, simile ad un possente castello. L’interno mi appariva come un immenso termitaio, in cui escrescenze di materia e colori mai visti erano illuminati da una strana luce violetta”.

Dalla descrizione, dunque, la dimensione alternativa non è molto diversa dalla nostra. Ma è lo stesso GB ad ammettere di voler fermare sulla carta, nel più breve tempo possibile, le immagini dei mondi visitati, perché “il cervello ricompone le immagini nella memoria attraverso elementi provenienti dalle esperienze vissute.

Ricostruisce il ricordo come un mosaico in cui i pezzi mancanti vengono sostituiti da quanto di più simile si ha a propria disposizione”. Sentiva che il ricordo lo stava abbandonando come nei sogni: la sensazione di coerenza che aveva provato nel suo viaggio, era ancora presente, ma sembrava non appartenere alla logica del nostro mondo ed era in totale contraddizione con le immagini nella sua mente.

“Perché non avevo mai sentito parlare di quel mondo e delle sue rovine?”. Allora si convinse che altri, prima di lui, avevano vissuto una esperienza simile. Forse Dante, Bosch, Platone. Pensò che l’allegoria della caverna di quest’ultimo fosse un chiaro ammonimento.

Per questa ragione o forse perché ormai il ricordo era già svanito e gli schizzi non rappresentavano fino in fondo i mondi visitati, GB deve aver deciso di nascondere sia lo scritto che i disegni nell’intercapedine del muro.

Qualche anno dopo mi sono imbattuto in questa descrizione tratta da Confessioni di un oppiomane di Thomas De Quincey (De Quincey, T. (1822). Confessioni di un oppiomane: “Mr Coleridge, che mi era accanto, mi descrisse un insieme di tavole di quell’artista… Che registrano lo scenario delle sue visioni durante il delirio causato da una febbre: alcune di loro (descrivo solo il ricordo dell’esposizione di Mr. Coleridge) rappresentano un grande ambiente in stile gotico, sul cui pavimento si levava ogni specie di attrezzi e macchinari, ruote, cavi, pulegge, leve, catapulte, ecc., ecc., che esprimono enorme potenza che cresce e supera le resistenze”.

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