©Gianluca Evels - Uneternal City - Metrostation Complex

Il disegno e l’architetto – di Gianluca Evels

“Drawing is the best means to develop the mind and form the judgement, because in this way one learns to see and to see is to know” (V. Le Duc)

L’incipit proviene da un ormai lontano passato ma ha un fondo di attualità stringente nel fare quotidiano di molti architetti contemporanei. Il disegno architettonico, in particolare lo schizzo, inteso come strumento operativo è una personale visione del mondo dove affiorano frammenti di teorie, pratiche consolidate, e momenti di invenzione che vengono a loro volta inserite in un database mentale. È un sistema di anticipazione, di conoscenza appunto, primo atto dell’Architettura nel processo di prefigurazione delle possibili trasformazioni della realtà tangibile.

Il disegno, lo schizzo di architettura, è ancora pratica vitale e fondamentale strumento nel processo creativo di molti architetti contemporanei. La diffusione del suo utilizzo trova giustificazione in molti fattori di diversa valenza. Uno senz’altro è dovuto alla sua estrema praticità e velocità di esecuzione non ancora eguagliata da nessuno degli strumenti tecnologici digitali disponibili. Altri sono direttamente legati alla biologia psichica dell’uomo: il tempo richiesto è breve anche perché lo spazio dell’agire della mano tra il tempo di ripescaggio di un tema progettuale nell’archivio della memoria e il momento della sua inevitabile temporanea rimozione è molto ridotto. Il filo diretto tra mano e cervello è bidirezionale: è arcinoto come mano e pensiero siano fusi in un’unica espressione. Dove la mente ha rimosso, la mano può automaticamente richiamare un’idea archiviata, in una sorta di anamnesi continua. Tutto ciò si sovrappone in maniera inestricabile ad un processo di invenzione: è praticamente impossibile dire dove termina l’atto mnemonico e dove inizia l’invenzione.

Per quanto mi riguarda non sono immune al fascino del disegno di architettura come artefatto in sé. Ma esso è anche altro, prefigura e prescrive ciò che è ancora in forma di pensiero e in generale non ha autonomia propria ed è normalmente legato all’iter di un progetto. E infine può appartenere a catene di pensieri che attraversano molti progetti.

Personalmente disegno molto. Come architetto diventa il modo privilegiato di osservare e comunicare ciò che le sole parole non riescono a spiegare. Tale modalità diventa parte indissolubile di se stessi, sia che riguardi l’osservare e registrare eventi esterni sia visioni interiori.

Il carattere di prescrittività condensata negli schizzi iniziali di ogni progetto ha influenza profonda sulla successiva fase di modellazione 3d attuata con i vari software digitali. Si configura come gesto essenziale, veloce con tratto di penna ad inchiostro sottile e fluido, attimo fuggente, tappa di un processo di una serie di disegni concatenati, senza fronzoli né ombre, in cui vengono date informazioni minime ma fondamentali: i rapporti metrici tra le parti, la scelta dell’inquadratura che influenza molto spesso la modalità dei render successivi, il trattamento della superficie dei materiali. Modalità espressiva preferenziale è la sezione, spesso prospettica assieme alla prospettiva che trova radici profonde nel mondo anglosassone e nordamericano. Più raramente l’approccio di partenza è planimetrico, modalità questa dell’organizzazione in pianta tradizionalmente di ‘maniera mediterranea’.

Nell’evoluzione del lavoro gli schizzi registrati, ordinatamente scansionati, hanno un peso importante per lo sviluppo del progetto stesso, ma di più per quella collezione di idee e pensieri da consultare ogniqualvolta sorgano questioni progettuali in una ibridazione feconda tra hard disk fisico e mentale.

Il processo del pensiero è integrato in quello del disegno. Il disegno alla fine è una maniera di pensare.

Gianluca Evels

[ ©Gianluca Evels – Vietato riprodurre, anche parzialmente, il materiale pubblicato ]

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