Gianluca Peluffo - Rinascimento come Rivoluzione

Rinascimento come Rivoluzione – Un Manifesto per il futuro prossimo con 8 punti per rilanciare la Teoria dell’architettura in Italia – di Gianluca Peluffo

1- OMBRA (CORPO. RINASCIMENTO. ETICA ED ESTETICA)

L’Architettura del futuro prossimo sarà caratterizzata da una Rivoluzione. Questa Rivoluzione che proponiamo è rinascimentale.

La corporeità fisica, e non la corrispondenza di esattezza geometrica e proporzionale fra corpo e mondo, sarà l’elemento centrale della nostra proposta di “Rivoluzione dell’Ombra”.

Quell’Ombra che Roberto Longhi (1) individua come elemento di connessione e continuità fra Dante e Masaccio, nel dantesco “non par corpo fittizio” e nel “curare gli infermi con la propria ombra” di Masaccio.

L’Ombra è la dichiarazione di essenza in vita e di corporeità fisica, di peso e di leggerezza, di visibile e d’invisibile. È ciò che rende parte del mondo i nostri corpi e il paesaggio, le nostre vesti e le nostre città.

Come in Masaccio.

L’Ombra è ciò che rende contemporanei nel tempo e nello spazio la fisicità e l’altrove, il materico e l’aulico, il corpo e Dio, il singolo e la collettività, proprio per la sua ambivalenza di materialità e immaterialità.

Collega fra loro i nostri corpi, i nostri paesaggi e le nostre città, attraverso l’anima che è capace di evocare.

Cosa significa questo per una teoria di Architettura?

Significa che l’Architettura che proponiamo ha il dovere etico di mettere in connessione il sentire individuale e quello collettivo, l’uomo e il mondo, l’autobiografia e la socialità, dichiarando e mettendo in forma la specificità dei luoghi e la loro connessione corporea (Materia) e sentimentale (Anima) con l’uomo.

La Verità esiste, e vive proprio in questa connessione, che va rivelata.

E questa rivelazione è la creazione di Bellezza.

La Connessione fra sentire individuale e sentire collettivo avviene attraverso uno StraLinguaggio sintetico, che è materico, corporeo, sentimentale ed evocativo.

L’Ombra della nostra Architettura parlerà con le Amalassunte (2) di ogni luogo, sanando le ferite della cecità del nostro cattivo presente.

2- STRALINGUAGGIO (OLTRE L’ECLETTISMO)

L’Architettura del futuro prossimo sarà caratterizzata da uno “stralinguaggio(3), oltre l’Eclettismo.

La devastante disponibilità d’immagini e d’informazioni del nostro presente ci ha reso ciechi, incapaci di vedere, e ignoranti, incapaci di capire e conoscere.

Non essendo più in grado di vedere e di conoscere, non siamo più in grado di progettare.

La speranza, a cavallo degli anni ’90 del secolo scorso e l’inizio del nuovo, che la rivoluzione tecnologica (digitale, della perdita di peso) fosse in grado di determinare un’architettura smaterializzata, attraverso un linguaggio proprio, è fallita: pensare che l’architettura potesse comportarsi e costruirsi come il design è stato il grande inganno culturale, politico ed economico di questi 30 anni di architettura.
Jean Nouvel, il più grande architetto di questa epoca, espresse la metafora del televisore che da grossa e pesante scatola diviene schermo immateriale, rappresentando perfettamente questa illusione. Negli stessi anni Wim Wenders ci portò per mano, ciechi, fra gli aborigeni, per parlare di tecnologia e futuro.
L’arte, ancora una volta, aveva ragione e guardava oltre. Vedeva. Lo intuimmo allora, lo vediamo oggi. Non esiste oggi una rivoluzione tecnologica capace di determinare un linguaggio architettonico. Non c’è un nuovo cemento armato.
E noi siamo fortunati. Non siamo, geneticamente, puritani, calvinisti e schiavi della tecnologia. Siamo padroni della Materia e della sua sensualità. Non siamo, geneticamente, portatori di un linguaggio unico. Le nostre città, i nostri paesaggi sono specifici, molteplici e conservano anime e corpi propri e dialoganti.
I non luoghi non esistono. Non sono mai esistiti. Esiste l’incapacità di vedere, di capire, di sentire. Esistono il conformismo e il cinismo di chi in questi anni ha spacciato droga culturale e intellettuale per servire forme di potere.

L’Architettura del futuro prossimo dovrà inventare e gestire uno stralinguaggio capace di reagire alle condizioni specifiche, funzionali, economiche, storiche e culturali, attuando una scelta e creando una sintesi di tutti i linguaggi possibili, differente in ogni condizione. A differenza dell’eclettismo, compirà uno straordinario sforzo sintetico, non di affiancamento di linguaggi. Non cercherà un equilibrio fra molteplicità affiancate, ma una sintesi complessa ed eccezionale creando un linguaggio nuovo e differente.

3- TEMPO (CONTEMPORANEITÀ DEI TEMPI)

L’Architettura del futuro prossimo porterà in sé la straordinaria esperienza conoscitiva e percettiva di vivere tempi differenti.

Lo stralinguaggio porterà con sé la capacità di includere elementi architettonici e spaziali, capaci di innescare “il buio” della contemporaneità (4): il rapporto con l’incomprensibile, il buio, l’arcaico, l’archetipico. Per questo, la forma di linguaggio sintetico, e soprattutto l’articolazione degli spazi, sarà costituita di sequenze di elementi capaci di creare un meccanismo di “catarsi” e “mimesi” rispetto a una idea di tempo non immobile. Nell’Architettura del futuro prossimo, l’idea di contemporaneità troverà forma in un’idea di contemporaneità di Storia, Archeologia, Mito, Arcaico, Futuri Possibili.

Ecco, se proprio un macchina l’edificio dovrà essere, sarà una “Macchina del tempo” e una “Macchina di percezione del reale”, e i suoi strumenti e meccanismo saranno il piacere, la narrazione, la meraviglia, la condivisione.

4- MITO (CONTINUITÁ DELLE FORME E LORO CONDIVISIONE)

Tornerà il tempo dei Miti. Collettivi, condivisibili, riconoscibili.

Saranno loro i protagonisti più evidenti dello spazio e dei linguaggi architettonici del futuro prossimo. I miti del paesaggio e della natura, quelli dell’arcaico, quelli dell’arte, quelli della storia e della città, quelli della collettività.
Prendiamo il lavoro di Michelucci e leggiamolo secondo i criteri di utilizzo di elementi mitici capaci di creare collettività e socialità: la tenda, l’albero, la radura, la piazza. Non sono la sua Chiesa sull’Autostrada, o quella di Longarone, la traduzione contemporanea del lavoro di Piero e di Giotto prima, sui temi collettivi riconoscibili? Sui temi di costruzione dell’immaginario collettivo di appartenenza?
I Miti sono nella natura (il paesaggio, l’albero, il buio, la luce, il mare, il fiume, il lago, la vite, il sentiero, la radura…),  nell’archetipo dell’architettura (la capanna, la tenda, la casa, le figure geometriche, la cupola, la volta, gli spazi ipogei, gli spazi ipostili, le scale…), nella storia, nell’immaginario moderno e contemporaneo (la scienza, il cinema, l’arte). La realtà è composta di parti visibili e di parti invisibili, queste ultime solo immaginabili. L’architettura collega queste due componenti della realtà: il soggetto, nel suo rapporto con il mondo, non può limitarsi alle parti oggettivamente visibili ma, necessariamente, deve entrare in contatto con la sua parte spirituale, invisibile, l’ ”aura” che circonda la realtà visibile delle cose. L’architettura sarà per questo luogo di “correlativi oggettivi” (gli “Ossi di Seppia”) in quanto messa in forma di eventi spaziali percettivi capaci di rendere condivisibili sensazioni, emozioni e sentimenti: il dialogo allora è il chiasmo fra questi eventi spaziali e i sentimenti collettivi condivisibili. La connessione fra la parte oggettiva (visibile) e quella spirituale (invisibile) è uno degli elementi centrali dell’Architettura del futuro prossimo. La coscienza di questa centralità, di questo doppio livello di rapporto con la realtà, è la coscienza del non sapere, del non capire, della meraviglia di fronte all’inspiegabilità della realtà (la morte, il buio, l’eco, il futuro), è quella che rivela la zona “originaria” e “primitiva” di condivisione con il mondo esterno. Questa coscienza è composta di un procedimento di “risalimento”, di “immaginazione” (Hillman), che permette questa condivisione del mondo e con il mondo nei suoi aspetti visibili e invisibili.

Allora il sentire ciò che non è logicamente né visibile né comprensibile, diventa il “fare anima” che appartiene a un mondo simbolico, sensitivo, atavico, mitico; un “bagno nell’incertezza”, appartenente  all’utilizzo di “immagini simboliche” e non di “deduzioni logiche e non contraddittorie.”

Il ricorso al simbolico, ai miti, agli archetipi, ha lo scopo di sottrarre la conoscenza e la percezione ai procedimenti deduttivi o “familiari” (sia nel senso di famiglia che nel senso di tradizione della “Ragione” nella modernità) e di metterla sul tavolo, a disposizione di tutti, perché a tutti appartiene e in tutti alberga. I miti ci portano quindi a un’azione progettuale di condivisione, poiché questi miti, questi archetipi, stanno dentro ad ognuno, sono collettivi e profondi, infantili e primitivi.  I Miti, accolti dagli specifici “stralinguaggi”, dichiareranno il concetto di “continuità delle forme” nel corso del tempo, dei tempi. Esiste certo una determinazione specifica delle forme e del linguaggio legata alle condizioni storiche del tempo, ma esiste altrettanto indubitabilmente un concetto di “continuità” delle forme (artistiche e architettoniche) e quindi di autonomia dell’arte rispetto alle contingenze e al presente. L’assumere questo ruolo per la forma implica un atto di mimesi collettiva: la “costruzione del cittadino”, che avverrà attraverso il processo di conoscenza del reale attraverso l’Architettura, troverà proprio in questa idea di “ascendenza e genealogia stilistica delle forme”, l’elemento capace di scatenare la catarsi e la conoscenza, emozionale e percettiva della realtà.

5- GENEALOGIA (NOI APPARTENIAMO. INTERAZIONE ARTE E ARCHITETTURA COME CUORE DELLA CONTEMPORANEITÀ)

Noi apparteniamo.

Noi apparteniamo a una genealogia.

Questa genealogia è un peso, che è il peso della Storia e della Bellezza.

Non possiamo né negarlo, né dimenticarlo.

La Bellezza è condivisibile, la ricchezza no.

Il nostro compito, profondamente etico, è di mettere in contatto il sentimento personale, ciò che sta profondamente dentro ad ognuno, con il sentire collettivo, con il sentimento di una comunità, di un popolo, di una città, di un paesaggio, di una storia.

Così come Piero misero in forma il paesaggio dell’Italia

Così come Giotto costruì il Paesaggio

Così come Carrà dialogò con loro e con la Storia

Così come Caravaggio mise in forma il paesaggio umano di tutti i tempi

Così come Sironi per primo costruì il dramma della città industriale italiana

Così come Munari lavorò sulla profondità e sul futuro attraverso la leggerezza

Così come Ghirri svelò l’enigma del vedere la Realtà

Così come Burri mise in forma il paesaggio della tragedia e del suo riscatto

Così come Aldo Rossi mise in contatto la poetica personale e quella del mondo

Così come Morandi mise in forma il mondo interiore del tempo e della luce

Così come Mantegna mise in forma la poetica dell’umano

Così come Terragni costruì la Modernità e la Storia

Così come Lina Bo Bardi mise in forma il sogno dell’architettura nel (sempre) Nuovo Mondo.

Così come Licini mise in forma il mondo interiore dei Miti

Così come Michelucci mise in forma una comunità e un’idea di modernità ad essa appartenente

Questa è la Bellezza.

Una interazione, una forma di contatto.

Ovvero l’idea che esista una connessione, un nervo ottico, il Chiasma, che collega il sentire individuale all’anima del mondo e alla sua realtà fisica. Allora possiamo renderci conto di quanto, da italiani, la fortuna e il dovere che dobbiamo rispettare e praticare, siano straordinariamente grandi. L’anima che è dentro alle cose del nostro territorio è talmente profonda che il nostro destino è di esserne all’altezza.

Così il nostro compito è produrre Bellezza.

Questa Bellezza.

L’Architettura appartiene a questo destino: l’Architettura pubblica (perché tutta l’architettura è pubblica, in ogni sua forma), è la macchina percettiva capace di innescare il “chiasma” fra l’anima individuale e quella collettiva, del territorio, di un Paese. Del mondo. Per questo fare Architettura è un atto politico. Per questo la ricerca di bellezza, intesa come forma di dialogo fra l’anima, lo spirito dei luoghi, del tempo, e gli individui, è un atto rivoluzionario.

Rivoluzionario in quanto atto di conoscenza e condivisione.

6- MATERIA (CARNE, CORPO, ANIMA)

Alla base di questi pensieri sta l’idea che “l’uomo e il mondo sono fatti della stessa carne” (Merleau Ponty) (5), e che questa carne, questi corpi dialoganti, hanno una coscienza percettiva condivisibile, che va oltre la oggettività della realtà, ma entra in contatto con la parte spirituale del mondo esterno.

La materia, la carne del mondo, con il mito, sarà l’elemento caratterizzante lo stralinguaggio dell’Architettura del futuro prossimo. Non sarà una materia povera e popolare, a dichiarare un falso e ipocrita terzomondismo postcolonialista, e quindi servile.  Sarà una materia primitiva, arcaica, sofisticata e splendente, opaca e sorda, colorata e infantile.

Sarà oro e intonaco.

Sara specchio e vetro.

Sarà cemento e metallo cangiante.

Sarà materia interagente, pesante, esistente.

Sarà una materia che parlerà del lavoro di chi la produce e la immagina.

Perché il lavoro è il cuore del costruire. E la materia ne è il risultato parlante. La nostra genealogia è fatta di materia. Del Diritto alla materia come specificità genealogica e di appartenenza. Il nostro corpo non è nato per il monologo, ma per le differenze e per l’incontro di quelle differenze. La polifonia è il destino del nostro corpo. Rimanere fedeli alla realtà significa accogliere tutti gli eventi con la propria fisicità.

Così, come architetti, perseguiamo l’idea di un’Architettura che sia “Corpo”, che cerchi il piacere, che abbia fisicità, sensualità, soggettività ed unicità per potersi relazionare e per poter evitare il monologo: una architettura come “corpo sessuato”, portatrice quindi di dialogo, incontro, polifonia, visione, realtà.

L’architettura non è una macchina.  L’architettura è un corpo.

Non ha la perfezione come suo obiettivo, ma ha nella capacità di integrarsi, trasformarsi, decadere e rinascere la sua essenza. Al contrario delle macchine, del mondo della tecnologia che, nel quotidiano, mira alla velocità, alla smaterializzazione e alla perdita di peso, l’Architettura Corpo che noi perseguiamo è portatrice di fisicità e Materia.

Un’Idea di Architettura che sia “Corpo”, ha infatti direttamente a che fare con il tema della Materia, della fisicità, del peso dell’Architettura stessa: crediamo fermamente che proprio in questo cattivo presente pervicacemente fondato su velocità, superficialità, comunicazione e smaterializzazione della realtà, la forza fisica della materia del corpo, sia il principale antidoto alla negazione della verità.

Il Corpo e la sua Materia sono le basi dell’interazione e della conoscenza.

7- AUTOBIOGRAFIA (SENTIRE COLLETTIVO)

Il sentire individuale, il bagaglio di immagini e tematiche che il singolo progettista (artista) porta con se, e quindi la sua “poetica autobiografica” (scientifica o meno), sono  l’elemento essenziale della creazione di questa idea di Bellezza come Chiasma: non è infatti nell’annullamento del sentire profondamente personale che si può perseguire l’idea di un agire architettonico politico, ma proprio nella creazione di un luogo (fisico spaziale e sensoriale) dove si crei la connessione con il sentire collettivo, determinando una relazione con l’Anima Mundi (6). Del resto, ogni cittadino, ogni persona, porta negli occhi e nei sensi la propria individualità, ma l’architettura pubblica deve essere capace di innescare il suo rapporto con la parte collettiva e archetipica di quella stessa individualità.

Pensiamo alle Amalassunte di Licini, e alla loro capacità di esprimere, come invenzione mitica, un’idea di fusione fisica, visiva e sentimentale fra singolo, paesaggio, tempo e collettività .

8- CONDIVISIONE versus COMUNICAZIONE (BELLEZZA, PERSUASIONE, RETORICA)

Il rifiuto della dimensione archetipica e sensibile collettiva, ha significato l’abbandono di ogni ruolo politico dell’Architettura, se per ruolo politico intendiamo la socializzazione del sentire (e solo surrettiziamente del sapere, poiché il ruolo politico in questo caso non può essere inteso principalmente, e di certo non esclusivamente, come educativo, ma deve innescare il meccanismo emulativo, e quello della persuasione e condivisione).

Il terribile dominio della comunicazione nel nostro cattivo presente ha sempre e ineluttabilmente portato a una semplificazione dei contenuti, a una loro banalizzazione, non allo scopo di renderli più comprensibili, ma allo scopo di trasformarli in prodotti vendibili. La persuasione si è trasformata in inganno.

Il processo persuasivo, parte integrante del Progetto di Architettura, si è trasformato in comunicazione commerciale. Il nostro compito è produrre Bellezza. Produrla, renderla condivisibile, non comunicarla.

La retorica e la persuasione trovano luogo nel Linguaggio dell’Architettura.
È la Bellezza che sovverte la dimensione reale, che non accetta per principio l‘esperienza regolamentata ma che, attraverso l’interazione con la Storia e la Contemporaneità, accoglie e valorizza ciò che sta nel buio, ciò che è invisibile, ciò che è potenziale. Ciò che è anima e produce anima. L’architettura appartiene a questo destino. L’architettura è pubblica in ogni sua forma. Per questo fare architettura è un atto politico. Fare architettura e fare politica sono la stessa cosa.  Per questo la ricerca di bellezza, intesa come forma di dialogo fra l’anima, lo spirito dei luoghi, del tempo, e gli individui, è un atto rivoluzionario.
Rivoluzionario in quanto atto di conoscenza e condivisione di una realtà diversa, altra.
Altrove.

La Bellezza salverà il mondo.

Gianluca Peluffo

 

NOTE

  • (1) Roberto Longhi,Gli affreschi del Carmine, Masaccio e Dante” in: “Da Cimabue a Morandi”. Saggi di storia della pittura italiana scelti e ordinati da Gianfranco Contini. Mondadori, Milano, 1973
  • (2) Le “Amalassunte” di Osvaldo Licini, sono figure di fantasia “verbo-visive”, che il pittore marchigiano (Monte Vidon Corrado, 22 marzo 1894 – Monte Vidon Corrado, 11 ottobre 1958), insieme con “Olandesi volanti” e “Angeli”, inserisce nei dipinti, quasi a raffigurare una sorta di “Altrove”, di simboli della vita non fisica, ma legata al paesaggio e agli uomini. Vedi anche: Fabrizio D’Amico, “L’Altrove. Morandi, Licini, De Pisis, Pirandello” Gli Ori, Pistoia, 2011
  • (3) Gianni Celati, intervista, di Franco Marcoaldi: “La Storia vale se sfugge dalle mani” La Repubblica, 13 agosto 2014 “In direzione ostinata e contraria”
  • (4) Giorgio Agamben “Che cos’è il contemporaneo?” Nottetempo, Milano, 2007
  • (5) Maurice Merleau-Ponty, 1945, Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, (Fenomenologia della percezione, trad. it. di A. Bonomi, Milano, Il Saggiatore 1965). 1964, Le visible et l’invisible, Paris, Gallimard
    (Il visibile e l’invisibile, trad. it. di A. Bonomi, nuova ed. a cura di M. Carbone, Milano, Bompiani 1999).
    1969, La prose du monde, Paris, Gallimard. (La prosa del mondo, trad. it. di M. Sanlorenzo, Roma, Editori Riuniti 1984).
  • (6) James Hillman, “Politica della bellezza”, a cura di Francesco Donfrancesco, trad. Paola Donfrancesco, Moretti & Vitali, Bergamo 1999

[ Immagine di Copertina – Elaborazione grafica ©Industriarchitettura: Headquarter Tiburtina (modello Danilo Trogu); ASI Agenzia Spaziale Italiana Roma; Gianluca Peluffo ]

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