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Intervista a Camillo Magni – Architetti Senza Frontiere Italia

Industria – Parlaci di ASF – Architetti Senza Frontiere Italia Onlus…

Camillo Magni – Architetti Senza Frontiere Italia è un’organizzazione Onlus che si propone di utilizzare gli strumenti dell’architettura all’interno della cooperazione internazionale. Da quasi 20 anni opera in distinti paesi del Global South realizzando opere in collaborazione con altre Organizzazioni Non Governative che poi utilizzeranno gli edifici che realizziamo.

Il nostro obiettivo è favorire lo sviluppo locale delle comunità svantaggiate e l’architettura è il mezzo con il quale ci proponiamo di perseguirlo.

Per avere un quadro completo delle nostre attività vi invito a consultare il nostro sito www.asfitalia.org

Industria – Come facciamo ad aiutare concretamente ASF a innescare processi di architettura e sviluppo in aree territoriali critiche?

Camillo Magni – Ci sono tre forme per aiutare ASF: sostenerla economicamente, in particolar modo le imprese del mondo dell’architettura (ma anche i singoli professionisti o semplici cittadini) possono usufruire delle detrazioni fiscali diventando sponsor di progetti attraverso donazioni economiche a progetti di utilità sociale. A mio avviso questa è un’opportunità molto interessante per le società che si vogliono impegnare socialmente all’interno del medesimo settore in cui operano. Un secondo modo di sostenere ASF ė destinare il proprio 5 per mille. Il terzo modo è diventare socio e cominciare a lavorare in forma di volontario all’interno dei progetti.

Industria – L’architettura sociale -con la Biennale Reporting From the Front di Alejandro Aravena- è ormai alla ribalta: tutti ne parlano, tutti vogliono praticarla, tutti sono buoni e vogliono aiutare il prossimo. Trovi che sia un fatto positivo o c’è troppa retorica e ipocrisia in giro?

Camillo Magni – Secondo me è positivo. Lavorandoci da più di venti anni posso assicurare che retorica ed ipocrisia ci sono sempre stati (e probabilmente ci saranno sempre perché fa parte dell’animo umano). La maniera più efficace per superare questi aspetti è approfondire i problemi ed entrare nel profondo delle questioni, quindi ben venga che se ne parli e che si diffonda un pensiero positivo al quale affiancare uno sguardo scientifico e disciplinare capace di osservare i fenomeni e giudicarli per il loro significato.

Industria – Che ne pensi della Biennale Architettura di Venezia 2016?

Camillo Magni – La parte curata da Alejandro Aravena l’ho trovata molto interessante.

Esistono alcune sbavature nella Biennale Architettura di Venezia 2016 e alcune cose per me poco comprensibili ma nel complesso la considero una delle Biennali più riuscite.

L’aspetto più convincente è stato considerare in maniera ampia il concetto di “fronte” e non rilegarlo solo alla dimensione sociale dell’architettura dove effettivamente è più facile scivolare verso la retorica. A suo modo è una visione anche molto pragmatica che nasce da chi è abituato a fare, operare e costruire. Un teorico probabilmente non avrebbe affrontato in questo modo il problema. Secondo me è uno sguardo molto da architetto professionista. Inoltre rispetto ad alcune edizioni precedenti la concretezza dell’architettura è tornata protagonista e molti dei progetti esposti li ho trovati interessantissimi.

La parte dei padiglioni nazionali è più difficile da giudicare perché troppo eterogenea, diciamo che mi sono piaciuti molto quello spagnolo e quello belga.

Industria – Che ne pensi del Padiglione Italia dei TAMassociati?

Camillo Magni – Il padiglione italiano è stato tra quelli più fedeli al tema proposto da Aravena. Non so quanto sarà efficace ma l’idea di portare il crowdfunding all’interno di una Biennale è una maniera straordinaria di aprire questa scatola alla società civile. La parte più debole invece, a mio parere, è stata quella dei venti progetti esposti che meritavano di essere raccontati con maggiore profondità (più immagini, più testo, più modelli) proprio per evitare quello che si diceva prima, di rimanere in superficialità e cadere nella retorica.

Industria – Alejandro Aravena è un grande architetto?

Camillo Magni – Chiunque vinca il Pritzker Architecture Prize è un grande architetto. Che sia più o meno affine alle mie corde è del tutto indifferente. Sì, credo che Aravena sia un grande architetto.

Industria – Tre architetti contemporanei sopravvalutati e tre architetti contemporanei sottovalutati…

Camillo Magni – Sono un po’ tendenziose queste due domande. In genere non amo le polemiche.

Possiamo dire che la superficialità è una delle cose che più mi disturba della contemporaneità e l’architettura non è esente da questo triste fenomeno. All’interno della mercificazione culturale tutto diventa moda che può essere sovra o sottovalutato e tutto passa alla velocità della luce. Personalmente prediligo uno sguardo disciplinare che non si fermi alla cosmesi dell’oggetto architettonico.

Diciamo che nell’era del digitale quasi ogni informazione è alla portata di tutti, quindi sta a noi scegliere i nostri riferimenti.

Industria – È in corso a Venezia una retrospettiva su Zaha Hadid, da poco scomparsa. Cosa pensi della sua architettura?

Camillo Magni – Di Zaha Hadid ho purtroppo visto un solo edificio, probabilmente il suo più bello: la stazione dei pompieri al Vitra. Il suo linguaggio non è nelle mie corde ma considero la sua capacità di controllare le forme straordinaria e unica. È stata un’icona degli ultimi vent’anni e la sua architettura ha risposto in maniera adeguata al mercato globale delle costruzioni che l’ha sostenuta.

Industria – Secondo te è finita davvero l’epoca delle archistar e dell’autoreferenzialità in architettura? Oppure la critica e l’architettura stanno cavalcando semplicemente, in modo cinico, questa nuova onda anti star-system, cambiando bandiera per agganciare i temi comunicazionali-sociali che sono più alla moda di questi tempi?

Camillo Magni –  Negli ultimi anni il mondo è cambiato. In molti ritengono che questo cambiamento non corrisponda ad uno stato di crisi transitorio ma che sia l’inizio di un nuovo assetto economico e sociale strutturale per la società del ventunesimo secolo. Cultura e architettura naturalmente rispondono a questo cambiamento. Il compito della critica è innanzitutto registrare il mutamento demandando al futuro eventuali giudizi di valore.

Quelli che fino a trent’anni fa chiamavamo “maestri”, parola bellissima che evidenziava l’aspetto demiurgico dell’architettura, oggi vengono chiamati “star” prendendo in prestito questa parola dal mondo dello spettacolo. In questa differenza terminologica si può osservare un diverso modo di giudicare l’opera di alcuni colleghi.

Nel passato si evidenziava la capacità di costruire un dialogo tra architettura e cultura, tra l’opera del professionista e la sua capacità di influenzare il pensiero di colleghi e cittadini, oggi invece si evidenzia la capacità di rispondere al mercato, alle esigenze di spettacolarizzazione che le logiche capitalistiche presuppongono.

Fino a quando esisteranno questi processi esisterà uno star-system architettonico pronto a offrire risposte adeguate alle richieste di speculatori internazionali. Non c’è giudizio nelle mie parole, mi limito a osservare la realtà. Così come, secondo me, non è vero che non si parla più delle star dell’architettura, semplicemente essendo ormai prodotti di mercato, si consumano in fretta e sempre più velocemente abbiamo bisogno di novità. È in questo aspetto che sia oggi che nel futuro, sarà sempre possibile distinguere tra una star e un maestro, tra chi attraverso la sua opera parla alla cultura e chi al mercato. Faccio un esempio illustre: Alvaro Siza (che è l’architetto che più stimo e che più ho studiato e visitato) a mio avviso opera all’interno dello star-system ma continua a essere un maestro perché rifiuta la mercificazione dell’opera d’architettura, la sudditanza al mercato a favore di un pensiero rivolto al sapere disciplinare. Sergison & Bates, Souto de Moura, Tony Fretton e molti altri operano nella medesima direzione.

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Camillo Magni – Architetti Senza Frontiere Italia (http://www.asfitalia.org/)  

Camillo Magni si laurea Milano nel 2000 in Architettura presso il Politecnico di Milano dopo aver studiato tre anni presso la ETSA di Madrid. Dal 2001 collabora con distinti studi professionali e nel 2007 insieme all’architetto Lucia Paci fonda OPERASTUDIO con il quale ottiene da subito riconoscimenti nazionali ed internazionali in molteplici concorsi d’architettura. Operastudio collabora con lo studio Kengo Kuma and Associates e dal 2015 con El Equipo de Mazzanti. Esposto alla Triennale di Lisbona (2011), a quella di Milano (2015) e alla Biennale di Venezia (2014), tiene molteplici lectures in distinte università europee. Nel 2013 OPERASTUDIO apre i propri uffici a New York in USA e nel 2015 è coautore del  Padiglione per il bioMediterraneo a Expo 2015.

Affianco all’attività professionale svolge attività didattica e di ricerca come titolare del Laboratorio di Progettazione Architettonica I del Corso di Laurea Magistrale in Architettura della Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano; insegnando inoltre in distinte università del Sudamerica. Nel 2005 ottiene il titolo di Dottore di Ricerca in Progettazione. Autore di saggi e di monografie, la sua ricerca si focalizza verso due specifici ambiti: la residenza contemporanea e il tema dell’habitat urbano e della costruzione nelle aree marginali del Sud del mondo.

Dal 2007 è presidente dell’associazione Architetti Senza Frontiere Italia con la quale opera nell’ambito della cooperazione internazionale in distinti Paesi Europei ed Extraeuropei. Dal 2004 partecipa al programma di ricerca internazionale iberoamericano CYTED. Nel 2015 viene insignito con la menzione d’onore alla Medaglia d’oro dell’Architettura italiana per il progetto della scuola secondaria nel villaggio Roong in Cambogia per ASF Italia.

[ Intervista a cura di Marco Maria Sambo ]

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